Lavorare affinché non venga meno il canale di dialogo, anche in un momento di alta tensione, in modo da far ripartire una fase negoziale non appena si interromperà quella bellica: con questo obiettivo, come filtra da Palazzo Chigi, il governo, la rete diplomatica e i servizi di intelligence stanno concentrando gli sforzi nella cornice definita, subito dopo l’attacco di Israele all’Iran, assieme ai partner europei, occidentali e a quelli più moderati dell’area mediorientale e del Golfo, Emirati Arabi Uniti e Giordania in testa.
Giorgia Meloni è volata in Canada per il G7 restando in stretto contatto con il sottosegretario Alfredo Mantovano e con i ministri che seguono da vicino la crisi, in un coordinamento convocato in forma permanente per assicurare un monitoraggio costante della situazione.
Il nuovo fronte di guerra finirà inevitabilmente in cima all’agenda del summit di Kananaskis, tra i lavori ufficiali e i bilaterali a margine. Meloni dovrebbe averne uno con il padrone di casa, il canadese Mark Carney, ed è ancora da capire se ci saranno incontri anche con Donald Trump e i partner europei, dopo il colloqui telefonici di questi giorni. Il summit tra le montagne rocciose della provincia di Alberta doveva essere un’occasione per provare a sbloccare la crisi ucraina e quella commerciale fra Usa e Ue. E invece dovrà affrontare soprattutto quest’altra priorità. Con gli altri leader la premier ribadirà la posizione italiana. L’ha esposta anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani nella sua informativa in Parlamento, dopo aver parlato con gli omologhi di Israele e Iran chiedendo al primo di fermare gli attacchi e al secondo di non andare oltre con le reazioni.
“Basta con l’escalation militare”, il messaggio di Roma, la cui postura segue una direttrice comune alle altre grandi capitali europee. Tajani ha chiarito che Teheran ha superato “la linea rossa”, riferendo le informazioni dell’intelligence israeliana secondo cui “in meno di sei mesi l’Iran avrebbe potuto disporre di 10 bombe atomiche, e di oltre 2.000 missili per poterle lanciare, verso Israele e non solo”. “Di fronte a una minaccia nucleare, non può esservi alcuna ambiguità”, ha rimarcato il ministro degli Esteri, sottolineando “il diritto di Israele a garantire la propria sopravvivenza”.
Sono ore delicate, in cui si monitora la situazione degli italiani in Iran (al momento ancora non si parla di evacuazione, viene spiegato in ambienti dell’esecutivo) e si analizzano i rischi di un allargamento del conflitto, tra vorticosi giri di telefonate e attraverso le informative diplomatiche e di intelligence. Si cerca di capire anche se il progetto di Israele sia quello di arrivare a un ribaltamento del regime iraniano. Di certo le diplomazie di tutto il mondo hanno registrato una certa freddezza da parte dei Paesi arabi nei confronti dell’Iran.
Nessuno, si ragiona in ambienti di governo, in questo momento ha un potere o un’influenza tali da decidere l’evoluzione del conflitto. Ma favorire la de-escalation è l’impegno su cui si concentra Roma: bisogna fare in modo di “non recidere il filo del dialogo”. Anche sul fronte dei negoziati Usa-Iran sul nucleare, che l’Italia resta pronta a ospitare nuovamente sebbene ora lo scenario sia diventato ancora più incerto di qualche giorno fa.
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